La banalità del male

“Quel che ora penso veramente è che il male non è mai “radicale”, ma soltanto estremo, e che non possiede né profondità né dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo…. Solo il bene è profondo e può essere radicale”(Hannah Arendt)

Si tratta di un film documento, tipologia cui la Von Trotta, abilissima tra l'altro nel delineare personaggi femminili, ci ha abituato. Il film ha tratta del processo di Gerusalemme istituito contro criminali di guerra Adolf Eichman, capo della sezione ebraica della Gestapo, esecutore degli ordini di Heydrich, catturato in Argentina nel 1960 dal Mossad israeliano.. Il processo, iniziato tra molte polemiche e questioni, anche, di ordine giuridico (Eichmann era già stato condannato da processo di Norimberga), fini con la condanna a morte di Eichmann impiccato nel 1962. Hannah Arendt, filosofa (1906 1975), ebrea tedesca accettò nel 1961 e non a cuore leggero la proposta del “New Yorker” di seguire come inviata il processo a Gerusalemme. La Arendt, allieva di Martin Heideggere e Karl Jaspers, aveva lasciato la Germania nel 1933 in seguito all'avvento del nazismo per emigrare, dopo varie disavventure, nel ’42 negli Stati Uniti. Qui pubblicò nel 1950   Le origini del totalitarismo, opera di grande rilievo per le ipotesi innovative che vi venivano avanzate, opera che le dette la  fama e la impose all’attenzione della comunità scientifica internazionale e del pubblico comune.  Si può dire che pochi abbiano goduto del successo e dell’acclamazione che ebbe Hanna Arendt,  richiesta dalle più prestigiose università americane e invitata per numerosi cicli di conferenze ovunque, acclamata da frotte di allievi.
      Nelle intenzioni del primo ministro, Ben Gurion, v’era  l'idea che quello dovesse essere il processo esemplare contro il nazismo che rendesse giustizia agli Ebrei. La Arendt, all’inizio convinta che Eichmann dovesse essere condannato, si rende conto, una volta giunta a Gerusalemme,della forte componente ideologica che accompagnava  il processo e del rischio che lo stato di Israele si sviluppasse intorno alla retorica dell’olocausto. Mette da parte qualsiasi pregiudizio e si avvicina ad Eichmann con quell’impegno di capire ed indagare, senza alcun preconcetto, che aveva contraddistinto la sua ricerca e la portava ad assumere posizioni radicali.  Ciò che la sconvolge è scoprire la “normalità” di Eichman che rompeva con gli schemi e l'immaginario della malvagità e diabolicità dei criminali nazisti. Eichmann  non era un uomo diabolico ma piuttosto un uomo mediocre, ordinario, incapace di pensare, ubbidiente agli ordini, impeccabile organizzatore dei trasporti della morte, un efficiente burocrate. La Arendt impiegò quasi due anni a redigere il reportage che sarebbe uscito sul New Yorker e da cui sarebbe poi stata tratta la versione- libro  La banalità del male. Il concetto della banalità del male andrà in circolo anche se mal interpretato. (Questo sarà precisato dalla Arendt in una conversazione radiofonica del’64 con Joachim Fest) Il libro uscito in Israele nel 1963 e l'anno successivo in Germania e in Italia destò  un’ enorme polemica soprattutto  nelle comunità ebraiche. Che cosa ne aveva offeso la suscettibilità? Il modo in cui era stato Eichmann era stato definito, appunto un essere “normale”, ma, soprattutto, l'accenno fatto alla corresponsabilità dei consigli ebraici nella deportazione degli Ebrei. Si rischiava in questo modo di mettere sullo stesso piano vittime e carnefici e ridurre le colpe di Eichmann.Si trattava, per gli Ebrei,  del loro onore e gli Ebrei avevano una forte resistenza a fare i conti con questo aspetto buio del loro passato.La Arendt fu accusata di essere incapace di amore per il suo popolo, fu accusata addirittura di aver  calunniato gli ebrei per scagionare i nazisti. Fu abbandonata da molti amici. Anche il filosofo Hans Jonas, il compagno di studi universitari prese le distanze. I rabbini delle comunità ebraiche americane le predicarono contro. Insomma una grande polemica che la Arendt non seppe e,per alcuni versi,  non volle gestire. Le rimasero accanto,prendendo le sue difese apertamente, Bruno Bettlheim, Mary McCarthy, Karl Jaspers.
Molti le questioni suscitate dal tema oggetto del film di ordine antropologico, psicologico ed etico-filosofico. Appunto: la Arendt aveva individuato una nuova tipologia di criminale cioè il criminale amministrativo, il criminale genocida?  Si può parlare di responsabilità in un regime totalitario? Queste e molte   altre questioni che verranno affrontate durante la proiezione. Il film è costruito intorno al personaggio di Anna Arendt, magistralmente interpretato dalla protagonista per riesce a rendere pienamente la forza etica, la combattività, il rigore di pensiero della filosofa, ma nel contempo sa renderla anche femminilmente seducente e affascinante.

Maria Felice Pacitto

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