La Shoah e gli immigrati

La giornata della commemorazione  delle vittime della Shoah, mai come quest’anno ha visto il proliferare di iniziative, eventi, conferenze, films, programmi televisivi, offerta di libri sull’argomento. 

Miglia di pagine sono  scritte nel tentativo di spiegare quell’odio pazzo, apparentemente senza ragione, che portò allo sterminio di milioni di Ebrei. Un odio che neanche Sigmund Freud, così appare  dalle conversazioni con Stefen Zweigg, riusciva  a spiegare pienamente. Ma non si trattò solo di un emotivismo cieco che portò a distruggere negozi, a picchiare e ad umiliare gi Ebrei pubblicamente, a calpestare i loro libri sacri, a distruggere le sinagoghe, ad escluderli dalla vita sociale ed economica. Un emotivismo spiegabile, in parte, alla luce di quelle osservazioni che il padre della psicoanalisi aveva fatto, per quell’intuito preveggente che solo i geni possiedono, in Psicologia di massa e analisi dell’IO, sul totalitarismo e sui fenomeni di massa vent’anni prima che essi si producessero. E, successivamente, Wilhelm Reich, in Psicologia di massa del fascismo, testo purtroppo dimenticato, sottolineava come il regime fascista avesse fortemente plasmato le personalità e le coscienze, come la repressione ed il controllo esercitato dai regimi totalitari  facesse aumentare  a dismisura l’aggressività delle persone, aggressività  che trovava, poi, vie di scarica su quelli che erano ritenuti “estranei” e nemici, appunto gli Ebrei. Ma non si trattò solo di emotivismo cieco. Ci furono “ragioni” e queste erano il fattore ideologico e la propaganda del regime che facevano percepire gli Ebrei come estranei e minacciosi. I criminali nazisti sapevano quello che facevano: talora ne provavano disagio ma si sentivano autorizzati a farlo perché gli Ebrei erano diventati non solo estranei ma “non umani”. Il processo di deumanizzazione esercitato da Hitler sistematicamente, che attingeva al peggio della tradizione antisemitica occidentale,  ( gli Ebrei erano definiti bisce, serpenti, pidocchi, polipi…) consentiva alla coscienza dei tedeschi (militari e cittadini comuni) di accettare e giustificare il genocidio. E, pure, gli Ebrei erano assimilati: rimanevano interiormente legati alla loro religione ma avevano fatto propria la cultura occidentale, anzi ne erano diventati gli esponenti eminenti: da Freud ad Einsteino, da Mann a Zweig. Ecc.. Tutta la cultura eminente tedesca ed occidentale del ‘900 era  ebrea!

 Il tema del perché della follia dell’Olocausto meriterebbe, ovviamente, un’analisi più dettagliata. Ma io voglio porre un’altra questione.Che cosa rappresenta realmente per le persone il ricordo della Shoah? Qual è il senso profondo della partecipazione? E quale dovrebbe essere? Siamo in un momento in cui ci troviamo ad affrontare i problemi di una immigrazione senza precedenti che continuerà per molti anni a venire. Un’immigrazione che suscita accoglienza e tolleranza da un lato ma anche molta xenofobia tra i cittadini e  in alcuni contesti politici. Ha un senso ricordare la Shoah ed essere xenofobi nei confronti dei nostri fratelli che arrivano con i barconi? Non siamo affetti da quella stessa schizofrenia di cui soffrivano quei nazisti che da un lato riempivano i vagoni di Ebrei destinati alla camera a gas  e dall’altro erano fini ascoltatori di Wagner e Bethoven e, in privato, padri affettuosi. Oggi molti studi in neuroscienze e psicologia sociale ci spiegano come e perché gli esseri umani percepiscono le differenze etniche, religiose, sessuali, ecc..Le tecniche di brain imaging utilizzate spiegano e valutano come e perché il nostro cervello “processa” e utilizza nei processi decisionali le categorie di razza ed etnia. Si tratta di studi che mostrano come nei nostri comportamenti razzisti e di pregiudizio scattano meccanismi automatici primitivi, dettati dalla paura e dalla repulsione, meccanismi ancestrali che ci allontanano dalla nostra umanità. Sitratta di studi che andrebbero conosciuti e diffusi per approntare misure preventive ed educative. Intanto,proviamo  a fare un esperimento mentale, di quelli che troviamo disseminati nei testi di psicologia cognitiva  e filosofia della mente. Immaginiamo di svegliarci una mattina nei panni di un emigrante e d pensare con la sua mente : come vorremmo essere trattati? Di che cosa avremmo bisogno?Che cosa ci aspetteremmo?


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